Storia delle scommesse: come si scommetteva a Roma

Quando si parla di scommesse e si cerca di delineare un processo storico di come siano esse nate non tutti penserebbero a una delle attività più antiche di sempre. Le scommesse hanno origine già nella civiltà romana, e magari anche in maniera precedente, senza però che noi lo sapessimo realmente o avessimo delle testimonianze vere e proprie. Molti dei giochi che oggi sono di largo uso e costume all’epoca dell’Urbe erano già ben noti e praticati con consuetudine.

Molti, comunque, hanno cercato di raccontare come la scommessa sia nata e quale fosse l’origine della stessa e tra questi era impossibile non trovare Piero Angela, uno degli storici più attenti e appassionati alla propria materia di studio. Il noto ricercatore ha scritto un libro nel quale tratta i giochi che si compivano in età adulta a Roma e nelle civiltà che sarebbero venute successivamente. L’atmosfera era sempre molto distesa e il gioco più noto era sicuramente quello della morra, all’epoca nota come micatio, diversa da quella che noi abbiamo inventato con le tre possibilità di carta, forbice e sasso: nell’antichità si doveva mostrare un numero e l’avversario doveva indovinare in anticipo la somma delle dita mostrate da entrambi i contendenti. Una variante sicuramente affascinante di quella che oggi è a noi nota.

L’onestà era sicuramente la base di tuti i giochi d’azzardo a Roma, tant’è che nell’epoca di Traiano, assicura Piero Angela, si poteva giocare alla morra anche al buio. Non poteva mancare, però, anche la bisca, che solitamente si faceva nelle oesterie: un tavolo con degli uomini che giocano ai dadi e un anziano che porta il conto delle vincite. Ma già all’epoca bisognava nascondersi: la legge puniva chi scommetteva fuori dal Circo Massimo e dal Colosseo con una ammenda che era pari a quattro volte la posta messa in palio. A Roma, però, tutti scommettono e la storia tramanda anche come Augusto riuscì a finire in rovina scommettendo 200.000 sesterzi in una sola giornata: li perse tutti. Anche i grandi, insomma, sbagliano alle scommesse, non solo il popolino.